I molti volti del Realismo

One and three chairs - J. Kosuth

One and three chairs – J. Kosuth

Quando pensiamo ad una corrente realista normalmente ci fissiamo su un unico aspetto principale: il fatto che gli autori che vi aderiscono mirano semplicemente a ricopiare, cioè a ritrarre fedelmente, accuratamente, con una precisione che non a caso definiamo fotografica, una certa porzione di realtà.

Ecco quindi emergere solitario in primo piano quello che sembra essere l’unica qualità del realismo, ovvero l’abilità di trasporre veri e propri pezzi di realtà in una differente forma, quasi una sorta di isomorfismo artistico che trasporta la realtà percepibile su supporti diversi, dalla tela del pittore al marmo dello scultore.

Ricordiamoci che l’arte, in un certo senso, è sempre stata interpretata in senso imitativo, come mimesis del reale, e su questo parametro veniva definita l’abilità di un artista. Platone denigrava i prodotti artistici come copie di copie, cioè rappresentazioni figurative di oggetti reali, a loro volta copie dei concetti ideali che ne costituiscono l’essenza. Ecco però emergere una prima particolarità del “realismo” greco classico: esso non tratteggiava tanto il reale quanto l’ideale, rispettando certe precise proporzioni geometriche tra le parti del corpo, rapporti appartenenti appunto al mondo incorruttibile dell’idealità astratta. Il loro scopo, dunque, era in un certo senso eguagliare un realismo astratto, dove la realtà di riferimento è costituita da questo insieme astratto di norme ideali, e il tentativo di imitazione era teso a materializzare nella maniera più compiuta l’armonia di questi rapporti. Già nella culla della civiltà occidentale osserviamo dunque un tipo di realismo che presenta un afflato artistico completamente diverso dall’idea che di realismo ci facciamo ad una prima, rapida impressione.

Sulle rive dell'Adige - B. Bezzi

Sulle rive dell’Adige – B. Bezzi

Ad ogni modo, è probabilmente a partire dalla generica immagine di ritrattistica e paesaggistica verosimile che ci formiamo un’idea “copia e incolla” dell’intento realista. Pensiamo a Courbet, teorico e fondatore del movimento del Realismo, che verso la metà del XIX secolo ha iniziato ad utilizzare la rappresentazione realistica e verosimile soprattutto in funzione di studio accurato della realtà, precipuamente di quella sociale, riprendendo i canoni di precisione empirica oggettiva del Positivismo che accompagnava la scienza della sua epoca. Guardiamo superficialmente un quadro e pensiamo «sì, è fatto bene» intendendo che riesce a catturare in maniera realistica la realtà che vuole rappresentare. In questo senso, di nuovo, il canone di valutazione di un’opera sarebbe la sua abilità nell’ingannarci, nel fornirci un’illusione della realtà concreta, al punto che le due risultino indistinguibili.

Courbet aveva posto esattamente questa idea di realisticità alla base del proprio intento. Eppure è riuscito a risultare politicamente scomodo per il semplice fatto di rappresentare ritagli concreti delle classi più disagiate, denunciando condizioni ingiustamente dure e misere di vita. Un realismo empirico che non ha nulla in comune con quello ideale che è stato il canone di una certa grecità classica.

Quando osserviamo un’opera realista, dunque, sarebbe alquanto disonesto fermarsi al solo piano dell’apparenza, della semplice affermazione di realisticità speculare. Anche l’opera più illusoria infatti, quella la cui realtà fotografica risulta in un perfetto inganno dei sensi, cattura la porzione di realtà che vuole rappresentare, una scelta già non più neutrale, in un certo modo, da una certa prospettiva, fornendone uno sguardo particolare. In questo senso un’opera non può costitutivamente essere interpretata meramente come un offrire la “nuda e cruda realtà” nella maniera più mimetica possibile, ma fornisce essa stessa un’interpretazione particolare, uno sguardo originale e unico sulla porzione di realtà rappresentata.

La Trahison des images (Il Tradimento delle immagini) - R. Magritte

La Trahison des images (Il Tradimento delle immagini) – R. Magritte

Questo è ancora più chiaro se pensiamo alla fotografia, paradossalmente. Da una parte pensiamo alla fotografia come ad una sorta di Realismo 2.0, capace di catturare in un’istantanea quella porzione di realtà che cade sotto l’occhio vigile dell’obiettivo fotografico. Dall’altra, tuttavia, bisogna ricordarsi che in base a come si opera sugli obiettivi, sul diaframma, giocando con la luce, la messa a fuoco e così via, si ottengono molteplici sguardi, prospettive radicalmente differenti sulla stessa “identica” porzione di realtà. Molti artisti hanno spesso giocato con la natura caleidoscopica del rapporto tra realtà e rappresenzatione, basti pensare a molte opere di Magritte, che pur non afferendo alle correnti realiste sottendono riflessioni sugli stessi temi, esplorati da un punto di vista concettuale differente.

Il realismo, in questo senso, è da sempre una riflessione tesa ad indagare il rapporto tra l’artista, la realtà rappresentata e l’atto stesso di rappresentazione, che non è mai così superficiale come può sembrare all’osservatore occasionale ed incauto. Al contrario di correnti più astratte e concettuali, come l’Astrattismo e il Surrealismo, dove l’afflato artistico è più volto a cogliere nessi per l’appunto concettuali tra realtà non immediate, oggettivamente non presenti davanti a noi come può essere invece il più banale cesto di frutta, il realismo vuole proprio esplorare il come della rappresentazione nella sua ideazione e nello svolgersi del suo processo creativo, rispetto ad una realtà che può essere quella empirica materiale presente ai nostri cinque sensi o certi aspetti più sottili della stessa (ed il concetto di sinestesia nell’arte offre potenzialità enormi di sperimentazione). Un quadro, una scultura di stampo realista, dunque, compie delle scelte precise circa l’oggetto, cioè “il cosa”, e la prospettiva , “il come” della rappresentazione (intesa in senso ampio come sguardo, che comprende la luce e le scelte di quali aspetti evidenziare maggiormente). Queste scelte non sono affatto neutrali, come mostra la funzione politica della pittura Courbet cui accennavamo ad esempio, e svolgono anzi una funzione chiave nel sottolineare gli intenti e i significati ulteriori che si nascondono dietro la volontà di ritrarre quanto viene rappresentato.

Esperimento artistico-filosofico dell'autore: "Autoritratto con Doppio Quadro di G. Tominz" e "Autoritratto con foto di Doppio Quadro di G.Tominz"

Esperimento artistico-filosofico dell’autore: “Autoritratto con Doppio Quadro di G. Tominz” e “Autoritratto con foto di Doppio Quadro di G.Tominz”

Da queste considerazioni, forse, è possibile ricavare l’idea che l’etichetta di “realista”, più che riferirsi al livello di vicinanza alla nostra esperienza sensoriale del soggetto rappresentato in un’opera, più precisamente forse è indice dell’intento rappresentativo dell’artista, ovvero del rapporto tra questi e ciò che intende ritrarre. Persino Wassily Kandinsky si è definito un realista. Il che ci spinge a chiederci: che realtà intendeva rappresentare? Cosa c’è di realista nelle sue opere?

In sintesi dunque, probabilmente la profondità teoretica dell’intento realista è proprio la sottile indagine dei complessi rapporti prospettici che legano rappresentazione artistica, realtà rappresentata e autore della rappresentazione, offrendo sempre uno sguardo particolare, connotato da elementi unici e precisi, intenzionali, sull’oggetto di rappresentazione. In questo senso il realismo appare molto più sfaccettato di quanto possa apparire ad un primo sguardo, quello che solitamente più colpisce di un’opera realista.

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Informazioni su Alessio Gerola

Studente di filosofia, indagatore analitico e ispirato della realtà, mi piace indugiare sull'immensa vastità dello scibile umano, portando alla luce i suoi angoli più singolari, e sperimentando creativamente sui modi di farli confluire in qualcosa che possa dirci di più su questa buffa parentesi di coscienza cosmica.

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